Di tecnocrazia si può anche morire

In un tempo in cui la religione dominante sembra essere diventata l’ambientalismo oppure lo scientismo, è sempre più raro trovare voci discordanti o almeno critiche che sostengano visioni diverse.

Ascoltando distrattamente alla radio una trasmissione dedicata a temi ambientali mi ha colpito l’affermazione di un imprenditore, «ma la plastica non ha le gambe», sintetica espressione che voleva sottolineare che se gli oceani, i mari i fiumi e gli ambienti in genere sono pieni di rifiuti plastici significa che qualcuno ce li ha fatti arrivare fin lì.

Affermazione banale, forse, ma che porta con sé una riflessione più profonda. Tutto l’impegno infatti che viene messo per contrastare il fenomeno della dispersione della plastica negli ambienti, sta nella sostituzione degli attuali materiali con altri più biodegradabili (come se questi ultimi una volta utilizzati scomparissero di colpo dall’ambiente come per incanto); molto di meno si fa per «non dare gambe alle plastiche», perché questo richiede un’educazione delle persone e delle popolazioni e sistemi di raccolta e smaltimento sempre più perfezionati.

Una preoccupazione non deve escludere l’altra: tuttavia nel primo caso (sostituzione dei materiali) ci si affida al potere della tecnica: nel secondo (educazione) si deve investire sulla centralità e la responsabilità della persona. Un primo segnale.

Dalle pagine de “La Civiltà cattolica” ne arriva un altro: sull’ultimo fascicolo pubblicato si può infatti leggere un ampio intervento del gesuita Etienne Perrot contro la limitazione dell’uso del denaro contante a favore dei pagamenti elettronici o comunque immateriali.

L’autore svolge articolate considerazioni da economista contestando molte delle affermazioni che guidano le limitazioni del contante (di recente ridotto anche in Italia a mille euro) ma l’affermazione più interessante riguarda il fatto che tali restrizioni pesano soprattutto sulle condizioni delle persone più povere.

Afferma infatti l’articolista che tali scelte: «non sembrano tanto motivate dalla modernizzazione del sistema di pagamento quanto dallo sfruttamento personale, commerciale o statale di dati privati: sfruttamento operato da tecnocrati che non hanno alcun riguardo per la vita privata o per la volontà dei consumatori, dei deboli e degli esclusi, e ancor meno per chi non sa usare i dispositivi digitali».

Perrot non esita a fare i nomi degli sponsor di questi interventi: «Essi sono sostenuti da alti funzionari, sia internazionali sia nazionali. Christine Lagarde, ex direttrice del Fondo monetario internazionale (Fmi) e attuale presidente della Banca centrale europea (Bce), Michel Sapin, commissario europeo, e William White dell’Ocse, per non parlare degli aficionados del Forum di Davos,[che] vedono negli scambi senza contanti il futuro delle economie di mercato».

E ancora: «Pretendere che la scomparsa del contante sia sostenuta da tutti è una conclusione affrettata, (…). Peggio ancora, significa confondere l’ideale tecnocratico con il bene comune di tutti».

Questo il vero problema: il bene comune, infatti, richiede una apertura del cuore e della ragione di cui non si vede traccia adeguata in molte, troppe, scelte dei decisori politici ma soprattutto di quei funzionari/burocrati dei grandi organismi internazionali che hanno il potere reale di condizionare pesantemente le politiche nazionali.

Un terzo segnale può essere trovato in una recente intervista dell’amministratore delegato di Stellantis (l’azienda in cui è infine confluita anche la Fiat), Carlos Tavares, rilasciata al “Corriere della sera” e a molti giornali europei in cui affronta il tema dell’auto elettrica.

Ecco Qualche passaggio delle sue affermazioni: «L’elettrificazione è una tecnologia scelta dai politici, non dall’industria. Perché c’erano modi più economici e veloci di ridurre le emissioni. (…) Sappiamo anche che un veicolo ibrido leggero costa la metà di un elettrico.

Alla fine, è meglio accettare auto ibride termiche molto efficienti in modo che rimangano accessibili e forniscano un beneficio immediato in termini di CO2, o è necessario avere veicoli al 100% elettrici che le classi medie non potranno permettersi, chiedendo intanto ai governi di continuare ad aumentare i loro deficit di bilancio per fornire incentivi? Questo è un dibattito sociale che mi piacerebbe avere, ma per ora non lo vedo».

Che sia un imprenditore a richiedere un adeguato dibattito sociale può forse sorprendere ma non troppo se si pensa che Tavares si occupa di prodotti concreti, materiali, come le auto ed è perciò chiamato al confronto con la realtà (oserei dire con la materialità della vita delle persone) mentre il dominio dell’economia e della finanza è nelle mani di imprenditori che trattano beni immateriali (anche molto sensibili come i dati personali) e che poco sembrano curarsi, come scrive Perrot, delle condizioni reali della gente.

In questo si può leggere una sintonia con altre parole di Tavares. «Quindi torniamo al rischio sociale. È la brutalità del cambiamento che lo crea. Se gli Stati riescono ad accompagnare questa transizione con delle sovvenzioni per cinque anni, forse ce la caveremo. Altrimenti si fanno prendere più rischi sociali all’insieme della cittadinanza».

Ho collegato tre segnali diversi ma che fanno pensare alla urgenza di un modo diverso di pensare lo sviluppo economico e le necessarie conseguenze politiche, un modo in cui sia la persona al centro delle necessarie scelte ambientali, energetiche, economiche e finanziarie.

I cattolici che si impegnano nell’economia e nella politica potrebbero riprendere con più coraggio i contenuti della Dottrina sociale della Chiesa, rinnovata anche dall’enciclica di Francesco “Fratelli Tutti”.

Sull’enciclica la Compagnia delle Opere di Lecco/Sondrio ha recentemente organizzato una riflessione con gli interventi del cardinale Scola e del prof. Zamagni che possono essere riascoltati sul sito dell’associazione leccosondrio.cdo.org, mentre è fresca la notizia di una serie di incontri sullo stesso tema organizzati dal decanato di Lecco.

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